Comunicare sotto pressione nello sport: quattro regole da tenere a mente

I tanti incidenti avvenuti nei giorni scorsi ci ricordano che fare comunicazione nel mondo dello sport significa convivere con il rischio di dover raccontare situazioni delicate. Per affrontare l’imprevedibile non si può improvvisare

Lo sport del dopo-lockdown è ripartito con il carico di inevitabili dubbi e incertezze, in particolare il ciclismo, uno sport la cui quintessenza è sempre stata la vicinanza – più del distanziamento – e poco avvezzo all’idea delle “porte chiuse”, oltre alle sfide logistiche dovute al costante movimento di centinaia di persone. Il moltiplicarsi dei campioni positivi al COVID-19 ha creato anche forti preoccupazioni per il Tour de France, destinato a mettersi in moto con ben poche certezze su quello che sarà.

A dispetto delle circostanze ambientali, il ciclismo del post-COVID non sembra aver scalfito i rapporti di forza consolidatisi prima dell’esplosione della pandemia, con i grandi protagonisti del panorama mondiale a riprendersi le loro posizioni in testa al gruppo. Sfortunatamente le prime settimane di ritorno sulle strade hanno portato con sé anche un elevato numero di infortuni, alcuni dei quali frutto di incidenti particolarmente seri.

Si potrebbe discutere del clima e dello stato d’animo di corridori e squadre, chiamati a disputare una stagione compressa e con una data di scadenza quantomeno incerta con la responsabilità di garantirsi un contratto (o la continuità) per l’anno venturo: sovraccarichi e tensioni hanno sicuramente una parte di responsabilità, così come altri fattori.

Tuttavia, dal nostro punto di vista di uomini di comunicazione e specialisti di eventi ciclistici, gli incidenti dei giorni scorsi – Evenepoel, Jakobsen e Schachmann su tutti – hanno richiamato l’attenzione sulla gestione di questi accadimenti a livello di rapporti interni ed esterni.

Negli anni abbiamo vissuto in prima persona numerose situazioni delicate, fra le quali torna subito in mente la caduta del drone sul Canalone Miramonti di Madonna di Campiglio nel 2015 (Coppa del Mondo di sci alpino), che fortunatamente si fermò a pochi centimetri da un ignaro Marcel Hirscher. 

Al riguardo, ecco qualche insegnamento maturato in molti anni di esperienza sugli eventi. Perché per affrontare l’imprevedibile non si può improvvisare.

1. Farsi trovare pronti 

Alla base di una comunicazione efficace in una situazione di crisi c’è la fase di preparazione. Non all’imponderabile – quello non si può – ma alla sua gestione.

Limitare i rischi, predisporre ogni misura di protezione e prevenzione è una responsabilità dell’organizzazione, anche se esistono circostanze (il drone di Campiglio ne è un esempio lampante) in cui il caso si spinge al di là del preventivabile. Ad incidenti e fatalità possono essere collegati anche profili molto delicati sul piano delle responsabilità specifiche, e che inevitabilmente ricadono su chi ha il compito di dare comunicazione di quanto avviene.

Non possiamo sapere cosa accadrà, ma dobbiamo sempre sapere con chi parlare nel caso accada. Chi è il contatto organizzativo incaricato di verificare o sbloccare un release particolarmente sensibile? Chi è il contatto medico di riferimento incaricato di fornire la diagnosi di un eventuale infortunio? Chi può prendere decisioni in questi momenti?

Quando si verifica una circostanza grave – ancor più se in diretta sugli schermi di tutto il mondo – non c’è tempo per valutare, bisogna agire, e sapere come farlo. E questo non vale soltanto per chi si occupa di comunicazione: chi riveste posizioni di responsabilità deve sapere a chi e come comunicare l’eventuale verificarsi di una situazione sensibile.

2. Communication must go on

Una delle conseguenze dell’impreparazione può essere quella di cadere nella tentazione di sparire. Tradotto: sospendere la comunicazione fino a nuovo ordine, non sapendo cosa dire o per timore di sbagliare.

Qualsiasi cosa accada, la comunicazione non va interrotta. Gli addetti alla sala stampa devono rimanere disponibili per le richieste dei giornalisti, i canali social network devono seguitare ad aggiornare sullo svolgimento degli eventi. Non è semplice, ma è necessario – soprattutto analizzando i motivi e le alternative.

Il primo aspetto si lega al punto 1: un’organizzazione che smetta di comunicare in coincidenza di un avvenimento grave o imprevisto trasferisce una sensazione negativa di sé, o di voler nascondere verità scomode.

Il secondo, e non meno importante, è che oggigiorno esistono decine di canali e di modi per far ascoltare la propria voce: in mancanza dell’autorevolezza di una voce ufficiale, si lascia il campo aperto per spifferi e rumor di ogni tipo, a cominciare dai social network. E questo è molto pericoloso.

Pertanto, come lo show, la comunicazione deve continuare.

3. Non cedere alla frenesia

A volte, la fretta di comunicare, e anche la pressione esercitata dall’esterno, possono portare a diffondere notizie non sufficientemente verificate, o magari provenienti da fonti anche attendibili ma non dotate di sufficiente competenza da poter essere riportate come ufficiali.

Potrebbe apparire scontato, lo è meno di quanto sembri. Quando si assume il ruolo di voce ufficiale non c’è spazio per i “sembra”, “probabilmente”, “si dice”. Ad un esponente ufficiale nell’esercizio della sua funzione si domanda di fare chiarezza ed è per questo che il suo ruolo è così delicato.

L’esempio potrebbe essere una notizia su una caduta riportata da RadioCorsa, riferimento indispensabile e affidabile per chiunque sia al seguito di una corsa: l’occhio di chi è in gara è preziosissimo per comprendere i contorni di una situazione, e la sua voce è deputata a riportare i fatti, ma non sufficiente per fornire una diagnosi. In questi casi, meglio riportare la fonte dell’aggiornamento (solo se attendibile: RadioCorsa, la squadra di appartenenza…) e rinviare a successivi accertamenti e ai referti del medico di corsa.

In sintesi: nel pieno di un evento, bisogna comunicare con concretezza, fornendo le informazioni effettivamente in possesso, dando conto dell’attesa di aggiornamenti, e soprattutto delle circostanze così come sono, senza forzature che non siano giustificate dal parere di chi è più competente. Per quello esistono rapporti, referti, diagnosi e prognosi.

4. Gestire l’esposizione

È inevitabile: in ogni organizzazione esistono alcune figure più esposte nei confronti del pubblico. Presidenti di comitato, direttori e segretari generali sono a varie riprese chiamati in causa dai media e dall’opinione pubblica, soprattutto quando accade qualcosa di molto rilevante o impattante, nel bene o nel male.

Per loro, come per chi si occupa di comunicazione, sparire non può essere un’opzione. In questi casi più che in altri, il silenzio comunica, e fa molto rumore. Inoltre, è estremamente difficile riuscirci: i giornalisti vogliono il commento di un leader rappresentativo, un’esigenza legittima e che va rispettata.

Se la situazione lo consente, è preferibile anticipare la criticità, e prevedere la presenza del leader dell’organizzazione in conferenza stampa.

I vantaggi sono molteplici:

- Semplifica la gestione delle richieste estemporanee: rinviando le dichiarazioni alla conferenza stampa, si evitano uscite “rubate”, incomplete o non sufficientemente ragionate, fra il marciapiede e una zona mista.

- Permette un momento di coordinamento con il responsabile della comunicazione, e di acquisire tutti gli elementi necessari ai fini delle prese di posizione in pubblico.

- Restituisce un’impressione di maggiore trasparenza: l’organizzazione assume una posizione pubblica e lo fa ponendo tutti sullo stesso piano ed esponendosi in prima persona.

In generale, anche laddove la conferenza stampa non sia ipotizzabile, è opportuno cercare di razionalizzare i momenti di comunicazione, per evitare di doversi esporre in un momento inopportuno o di disagio, ma al tempo stesso senza sottrarsi alla disponibilità. Anche nel trovare la giusta misura fra queste due esigenze sta la capacità di un buon ufficio stampa.

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