Programmare da Dea

Breve viaggio dietro la filosofia che ha portato l’Atalanta dalla metà destra della classifica a far paura alle grandi d’Europa. Il successo della Dea è anche una lezione di business

Che il mondo del pallone sia un’industria è un dato di fatto. Che le differenze di fatturato fra top club e le cosiddette ‘provinciali’ siano sempre più evidenti è una realtà assodata.

Eppure l’Atalanta, settimana dopo settimana, e ormai stagione dopo stagione, ci dimostra che si può competere ai massimi livelli senza disporre di grandi budget. “Non ho mai visto un mucchio di soldi segnare un gol” diceva Johann Cruyff, sintetizzando la filosofia del modello Ajax. Difficile dargli torto, eppure la gestione di molti club, più o meno importanti, non sembra altrettanto ispirata.

Quattro esercizi consecutivi in utile, squadra che segna gol a grappoli, diverte e fa registrare risultati sportivi da record. Una squadra, l’Atalanta, che quindici anni fa era habitué dell’ascensore fra massima serie e cadetteria oggi si iscrive per il secondo anno di fila alla Champions League (ed è ancora in corsa in questo folle 2020).

Un risultato frutto di un’idea di calcio e della determinazione nell’applicarla – senza alcun dubbio – ma anche di una visione che ha radici indietro nel tempo, e che rappresenta oggi il più fulgido (se non unico) esempio reale di programmazione nella Serie A italiana.

Lasciamo stare favole e miracoli: per quelli non sono attrezzati a Zingonia, come da nessuna altra parte del mondo. Roma non si costruisce in un giorno, e a giudicare dai 126 milioni di passivo e 280 milioni di indebitamento, sembrerebbe neppure la Roma.

LA MODERNITA’ ARRIVA DA LONTANO

L’Atalanta di oggi reinterpreta in chiave moderna il calcio totale di scuola olandese.  Il sistema di Gasperini si fonda su un concetto di ‘uomo contro uomo’, dove i movimenti di reparto e fra reparti sono ben coordinati e sincronizzati. Gli attaccanti sono i primi difensori e i difensori sono i primi attaccanti. I ragazzi di Gasperini sono programmati per correre poco ma nella direzione corretta: non è tanto una questione di chilometri percorsi ma di intensità, senso del gruppo e qualità del lavoro svolto. Concepire una visione, fare in modo che tutti la conoscano e la facciano propria: questa è la dote in più dell’Atalanta (e di tutte le aziende che funzionano).

SCOUTING E FORMAZIONE: LA STRATEGIA VINCENTE

Per ogni sistema che si rispetti, servono gli interpreti giusti. Sono poche (e spesso care) le risorse umane efficienti in ogni contesto. Proprio per questa ragione, le organizzazioni ambiziose, e questo vale nello sport come in qualunque altro contesto, devono partire da un’efficace attività di scouting.

Il talento va cercato partendo dalle idee, e in seguito protetto e sostenuto. Trovare qualità non è mai semplice, ma se non sai cosa stai cercando diventa quasi impossibile.

Programmare costa tempo e fatica, ma paga dividendi sul lungo periodo. Porta pure qualche plusvalenza, termine molto caro a tanti dirigenti del momento, anche se spesso legato a storie di cartellini gonfiati e strane valutazioni che trovano un “senso” solo alla prova dei libri contabili.

A Bergamo le plusvalenze sono la conseguenza del progetto tecnico e del lavoro svolto per formare un ragazzo talentuoso, ma ancora tutto da inventare. Il contrario del DNA italiano, del ‘tutto e subito’. Uno schiaffo ai preconcetti che per anni hanno ostacolato la crescita dei nostri giovani.

COSA ABBIAMO VISTO AL ‘BEPPE VIOLA’

Nel nostro percorso professionale abbiamo avuto il privilegio di osservare da vicino il modello Atalanta ad Arco, nel triennio al seguito del Trofeo Beppe Viola, il più importante torneo calcistico U17 in Italia. Gli orobici se lo sono aggiudicato per 3 volte nell’ultimo quinquennio e per 6 volte nell’ultimo quindicennio, ma parliamo pur sempre della punta di un iceberg molto spesso sotto il pelo dell’acqua.

Pochi schemi, tante letture: giocare all’Atalanta non è meccanica applicata al pallone. Al ‘Beppe Viola’ non abbiamo visto una squadra imbrigliata in un tema tattico, ma al contrario, giocatori liberi da schemi predefiniti, veloci di testa ancor prima che di gambe, capaci di leggere una difesa e attaccarla di conseguenza. Un lavoro propedeutico al salto fra i professionisti: Kulusevski dopo aver brillato nel 2017 ad Arco ha già rimpinguato le casse societarie per 44 milioni di €. I conti tornano.

Potremmo parlare dell’Atalanta come del successo di chi crede e investe nei giovani, e sicuramente è vero. Ci piace però pensare che il fenomeno-Dea sia soprattutto figlio di un’idea (di calcio e soprattutto di gestione) a cui la società del Presidente Percassi ha aderito senza tentennamenti o ripensamenti, anche nei giorni in cui l’orizzonte alla fine del campionato era la fatidica quota 40, senza snaturare la sua guida anche nei passaggi in cui i risultati faticavano ad arrivare.

Per questo pensiamo che l’Atalanta abbia molto da insegnare non solo allo sport, ma anche il mondo del business. Una piccola grande lezione di coraggio delle idee, ed anche di ottimismo: di questi tempi, merce ancora più preziosa.

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